sabato 30 giugno 2012

Antonio Bardellino


Originario di San Cipriano d'Aversa, è stato tra i primi affiliati campani a Cosa Nostra. Mentre i fratelli Zaza e Nuvoletta erano legati ai Corleonesi, Bardellino faceva riferimento a Rosario Riccobono, Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Tommaso Buscetta, tutti esponenti delle famiglie palermitane caduti sotto i colpi dei Corleonesi o costretti a fuggire.

Viene ritenuto il fondatore del clan dei Casalesi, boss temuto e rispettato (una delle poche figure criminali a non avere un soprannome) intorno al quale per quasi un decennio si mosse unita una federazione di famiglie (Schiavone, Bidognetti, Zagaria, Iovine, Venosa) radicata in un territorio che andava dal Basso Lazio passando per l'agro aversano fino ad arrivare nel napoletano.

Ciò che spinge a ritenere Antonio Bardellino l'iniziatore delle vicende del sodalizio camorristico di Casal di Principe San Cipriano d'Aversa è la trasformazione da lui attuata al modo di agire del clan. I rituali di affiliazione rimasero, come pure gli omicidi, ma il salto di qualità fu rappresentato dalla continua infiltrazione nell'economia legale dei capitali provenienti dai traffici illeciti. Il riciclaggio del denaro è favorito dalla straordinarietà degli eventi, come il terremoto dell'Irpinia e la successiva ricostruzione (affare che spinse le famiglie a creare sia i consorzi per la produzione del calcestruzzo che le ditte esecutrici dei lavori di movimento terra, case e strade), e la grande capacità imprenditoriale di Bardellino stesso che era titolare insieme ad altri affiliati al clan di una ditta di import/export di farina di pesce, che in realtà nascondeva un colossale traffico di cocaina dal Sud America all'Italia gestito da Alberto Beneduce, suo fidato consigliere negli affari di droga.

Antonio Bardellino è stato uno degli esponenti principali del cartello denominato Nuova Famiglia, che si oppose e che annientò lo strapotere della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

Dopo quella guerra che produsse centinaia di vittime, i contrasti sorsero all'interno della Nuova Famiglia, tra Bardellino e i Nuvoletta. In Campania si ripropose lo scenario della seconda guerra di mafia combattuta in Sicilia tra i Corleonesi di Totò Riina e le famiglie Inzerrillo, Buscetta, Badalamenti, Bontate. Antonio Bardellino aveva avuto ordine dai Nuvoletta su mandato di Riina di uccidere Buscetta, circostanza che non portò a termine in quanto era molto amico del boss siciliano (condividevano lo stesso villino in Brasile durante la latitanza) e non accettava, oltre a non fidarsi, la supremazia dei fratelli Nuvoletta con l'interferenza dei siciliani. Questo atteggiamento gli valse la condanna a morte; infatti nei suoi ultimi anni di vita, dopo la scarcerazione "facile" in Spagna, altro episodio che lo rese famoso ed imprendibile, passava più tempo all'estero (Brasile, Santo Domingo) che in Italia.

Anche lo scontro con i Nuvoletta si risolse a suo favore; si rese protagonista dell'attacco alla masseria di famiglia dei Nuvoletta a Marano, nel quale rimase ucciso uno dei fratelli. Mentre era all'estero condivise il progetto di "invadere" Torre Annunziata, città nevralgica per i suoi affari illeciti, che si esplicò nella strage al Circolo dei Pescatori di molti affiliati del clan Gionta, alleato dei Nuvoletta.

Questa ulteriore vittoria permise ad Antonio Bardellino di estendere il suo dominio alla quasi totalità della provincia di Caserta e quella di Napoli.

Il boss, latitante ricercato dall'Interpol, riusciva ad esercitare la sua forza criminale verso l'esterno senza ostacoli; ma la sua condanna arrivò da dissidi interni al gruppo d'origine, i capi degli altri clan non accettarono più il suo strapotere, e i trattamenti di favore riservati ai suoi parenti, e per eliminarlo utilizzarono Mario Iovine, il cui fratello venne ucciso su ordine di Bardellino.


Antonio Bardellino, secondo le versioni ufficiali, sarebbe stato ammazzato nel 1988 in Brasile nel suo villino a Buzios, località alla periferia di Rio de Janeiro. Probabilmente Iovine usò per l'omicidio un martello da muratore. In molti usano il condizionale perché il corpo di Bardellino non venne mai trovato, e l'assassino, Mario Iovine, sarebbe stato a sua volta assassinato in Portogallo nel 1991. Diversi collaboratori di giustizia parlarono della morte di Bardellino. Tutti affermarono di averne conosciute le circostanze direttamente da Mario Iovine, o da persone a lui vicine. Non esiste al giorno d'oggi una versione coincindente con l'altra. Siffatte circostanze hanno alimentato, e tuttora alimentano la leggenda di una morte fasulla, una messinscena creata ad arte per permettere a Bardellino di lasciare il potere nelle mani delle altre cosche malavitose, in cambio della sopravvivenza dei suoi familiari. Questi, dopo la diffusione della notizia della morte del loro congiunto, lasciarono le loro abitazioni, e i propri paesi d'origine, per rifugiarsi a Formia, dove tuttora risiedono.


Non scampò alla morte però il nipote prediletto di Bardellino, Paride Salzillo, colui che gestiva sul territorio, per conto dello zio, gli affari malavitosi. Ricevuta la telefonata dal Brasile dell'avvenuta morte del capo, Francesco Schiavone invitò Salzillo a un incontro con tutti i maggiori elementi di spicco dell'organizzazione. Questi ultimi, non appena il giovane si presentò, disarmarono il ragazzo, lo informarono della morte dello zio e gli preannunciarono la sua imminente fine; Salzillo, impietrito, venne fatto sedere e fu strozzato con una corda. Anche il suo cadavere non venne mai ritrovato, probabilmente fu gettato in un canale poi cementificato.

L'insediamento nel basso Lazio

L'ex Seven Up di Formia
La zona sud della Provincia di Latina anticamente era parte integrante della Terra di Lavoro, quindi per le comuni origini e affinità culturali città come Fondi, Formia, Gaeta, Minturno, Castelforte e Santi Cosma e Damiano sono sempre state luoghi a tradizionale insediamento camorristico delle cosche della vicina provincia di Caserta. Ciò è in particolar modo avvenuto tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 per svariati motivi. La bellezza delle località turistiche suggeriva ai boss il luogo dove trascorrere le vacanze; trasferirvi i propri familiari lontano dai paesi d'origine soprattutto nei periodi "caldi"; le misure restrittive, come il soggiorno obbligato, applicate nei confronti di affiliati ai clan, non solo campani hanno agevolato l'infiltrazione. L'integrazione di questi diversi fattori ha portato alla constatazione che nel territorio del Sud Pontino in quel periodo erano presenti ed operavano le figure criminali di:

- Antonio Bardellino ed Ernesto Bardellino, membri della famiglia a capo del clan che sarà egemonizzato dai Casalesi alla fine degli anni '80.

- Alberto Beneduce e Benito Beneduce, capizona di Baia Domizia e Sud Pontino, affiliati storici prima dei Bardellino e poi dei Casalesi, con attività prevalentemente nelle città di Minturno, Formia e Gaeta

- Aldo Ferrucci, originario di Sessa Aurunca, insospettabile imprenditore attualmente collaboratore di giustizia, che fungeva da prestanome di Bardellino.

- Franco Sorvillo, originario di Mondragone, con svariati interessi nell'edilizia e nel commercio a Minturno, Formia e Gaeta.

- Gennaro De Angelis, originario di Casal di Principe, organico del clan Bardellino e poi dei Casalesi, capo - regime di Cassino. [Interrogatorio di Schiavone Carmine del 28 maggio 1993, pag.20]


Tanta rappresentanza mafiosa era favorita dalla compiacenza della politica locale sulla quale ancora oggi grava più di un sospetto in considerazione dei lavori della Commissione d'Accesso a Fondi e sulla richiesta di scioglimento del suo consiglio comunale avanzata dal Prefetto di Latina.

Antonio Bardellino limitò la sua attività a sporadiche apparizioni in quanto era già all'epoca latitante, inseguito da diversi ordini di cattura per estorsione, omicidio e strage. Noto è il summit nel quale il capoclan a Formia, alla presenza di Pasquale Galasso, Giacomo Cavalcanti ed Enzo Moccia, stabilì l'attacco alla masseria dei Nuvoletta a Poggio Vallesana. Il fratello Ernesto rappresentava il braccio operativo che sul territorio concretizzava il rinvestimento dei capitali di provenienza illecita. Infatti, nel 1979 a Formia veniva registrata la Immobiliare Tirreno Sud, di cui erano soci lo stesso Ernesto Bardellino, i fratelli Alberto e Benito Beneduce e Giuseppe Natale. Questa azienda realizzò nella zona di Vindicio, in Via Unità d'Italia, una maxi lottizzazione (SOLEMAR). Altro settore per il riciclaggio del denaro sporco era quello dei locali notturni, e ciò fu accertato già nel 1982 nell'ambito del procedimento penale riguardante il fallimento della società Maurice, proprietaria della discoteca Seven Up, titolare della quale risultava Aldo Ferrucci. Quest'ultimo aveva ottenuto dalla Banca Popolare del Golfo prestiti consistenti, senza però fornire alcuna garanzia. La facilità con cui Ferrucci ottenne liquidità spostò l'attenzione degli inquirenti sui massimi vertici dell'istituto di credito locale che, al termine degli accertamenti investigativi giudiziari, risultò pesantemente infiltrato dalla criminalità organizzata. In sostanza, la banca andò in rovina in quanto aveva "prestato", tra il 1980 e il 1981, 5 miliardi di vecchie lire alla Maurice che, essendo una società espressione dell'economia camorrista, fallì. Lo stabile della discoteca, tra le più famose all'epoca in Italia, finì sotto sequestro nel 1985 nell'ambito dell'inchiesta della Magistratura napoletana sui beni riconducibili ad Antonio Bardellino. Un anno prima, il suo direttore, sempre Aldo Ferrucci, venne arrestato dalla Criminalpol di Napoli con l'accusa di far parte del clan Bardellino. Prima dell'altro arresto scaturito da un'inchiesta sul clan Moccia, al quale Ferrucci era anche legato, il locale nel 1986 rimase semidistrutto da un'esplosione (provocata dalla combustione di fuochi artificiali) seguita da un incendio che ne compromise seriamente la struttura; due ragazzi morirono carbonizzati, oltre quaranta i feriti sui cento ragazzi presenti quella sera. La sciagura comportò la fine della discoteca Seven Up, che non riaprì mai più. Le indagini, i sequestri e gli arresti susseguitisi negli anni dimostrarono il legame tra la discoteca e la malavita; prova tangibile di tale relazione arrivò nel 1989 quando la Criminalpol di Napoli venne a cercare il corpo dell'ormai defunto Antonio Bardellino nel giardino dello stabile.

Considerazioni

Nel giugno 2008 un articolo de la Repubblica, scritto da Giuseppe D'Avanzo, riportava la tesi secondo la quale l'assassinio di Bardellino venne eseguito da uomini dei Corleonesi. Tale notizia è completamente falsa, priva di ogni fondamento e riscontro, e ignora le dichiarazioni della totalità assoluta dei collaboratori di giustizia. Se Bardellino morì, morì per mano di Mario Iovine, co-fondatore del clan dei casalesi e sempre originario di San Cipriano d'Aversa, a titolo di vendetta per l'assassinio di suo fratello Domenico Iovine, stante, almeno, a quanto riportato fra le pagine dei verbali degli interrogatori. A riscontro di ciò, vi sono le dichiarazioni di Giovanni Brusca e di suo fratello Enzo. Secondo i fratelli Brusca, Riina desiderava ardentemente l'eliminazione di Bardellino, e in virtù di ciò, ordinò ai Nuvoletta di ammazzarlo. Quando costoro gli palesarono la volontà di stringere una pace col boss di San Cipriano (maturata dopo lo scotto terribile determinato dalla "strage di Torre Annunziata"), i rapporti fra Riina e i Nuvoletta, fino ad allora sempre idilliaci (Riina soleva spesso trascorrere la propria latitanza all'interno della tenuta dei Nuvoletta), si raffreddarono. Le due famiglie infatti, come segno di reciproco affetto, si scambiavano ogni anno numerose cassette di prodotti locali, scambi che cessarono dopo il mancato assassinio di Antonio Bardellino.

Hanno detto di lui

« Dopo un summit è uscito da un palazzo circondato da otto guardaspalle ed è fuggito a bordo di una 127 blindata. Sono onori che non vanno dati a chiunque »
(Luigi Gay, Pubblico Ministero nel 1983 al processo contro la Nuova Famiglia, a proposito di un mancato arresto del boss a Castellammare di Stabia.)

« Antonio Bardellino, posso dirlo con la convinzione di non essere frainteso, è stato uno dei pochi se non l'unico boss "gentiluomo" esistente in Italia, non amava le carneficine, era l'ultimo padrino vecchio stampo »
(Vincenzo Scolastico, procuratore capo di Savona.)

« I rapporti con i casalesi erano strettissimi, eravamo due anime in un solo corpo e riponevamo, proprio nel Bardellino, un'ammirazione sconfinata, riconoscendogli un'indubbia posizione di supremazia davanti a tutti noi »
(Carmine Alfieri)

« Fino al 1981 i rapporti fra Carmine Alfieri e Lorenzo Nuvoletta erano di stretta alleanza, unitamente ad Antonio Bardellino, che io considero una delle figure più rappresentative della Camorra campana, un uomo di grande coraggio e rispettoso delle regole »
(Pasquale Galasso, braccio destro di Alfieri.)

« Era sottinteso che io avrei dovuto prendere consiglio, per eventuali decisioni importanti, o dai Nuvoletta o da Antonio Bardellino »
(Umberto Ammaturo.)

« Bardellino in quell'occasione mi disse: "È giunto il momento: ci andiamo a suicidare sopra casa dei Nuvoletta" »
(Pasquale Galasso)

« Dottore, non mortificate Bardellino, io non potevo dargli consigli, avrei solo espresso un parere, io non potevo dirgli proprio niente, davanti a lui mi toglievo tanto di cappello, era un grande campano »
(Carmine Alfieri.)

« È già scontato che Bardellino è morto? Non mi risulta, ma non credo che sia morto »
(Tommaso Buscetta)

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